Forse un po’ pulp, ma per niente fiction
16 settembre 2015
Dì scorsi
17 marzo 2014
Tre film, parecchi volti, alcuni nuovi altri no, corse in corridoî, telefonate, improperi fluenti, interrotti, ingoiati, riservati per il futuro, annullati, volture dello spirito, watt, decisioni, spappolamento d’endometrio, debolezze, debolezza, mostre e mostri, “è” aperte troppo chiuse, “ó” chiuse troppo aperte, ancora una firma per presa di possesso senza possedimenti, biglietti aerei, check in on line, sogni on air, cinguettii di uccelli che cantano l’esplosione di una stagione calda senza intermezzi.
Progetti per il futuro: allenarmi col giro fonetico su tacco 12.
Né farmaci né equivalenti: tutt’al più un po’ di taurina
6 luglio 2013
Ci sono occhi brillanti, e fermi, e ironici in cui si sta così comodi – come seduti su un prato, il cielo blu sopra e scherzare; come avvistare una spiaggia libera e accogliente invece che brulla e recintata – che vorresti il tempo si fermasse almeno un po’. Poi il tempo non si ferma e anzi diventa il quarto compagno nel tragitto fino alla stazione, fischia quando il treno sta per partire, strizza l’occhio anche lui quando stai per andare. Però, chissà com’è, ti senti addosso un sorriso da cartone animato e nei didentri come se avessi assaporato una pillola di bellezza, mentre il tempo, lui, ti siede accanto scorrendo sulle rotaie e poi in auto e poi su strade che ricordi appena, tra altri volti, si infila in un panino al volo, e va avanti a tempo di jazz.
Certo che per capire come arrivare laddove devi andare, avere cognizioni sulla corrispondenza biunivoca luogo-puntino.sulla.cartina.geografica ha la usa utilità se ci tieni davverodavvero ad arrivare. E di là in poi ti si apre una serie disparata di orizzonti itineranti più o meno plausibili, mica come le parallele che non s’intersecano mai.
Le spugnette imbevute di stanchezza si strizzano e le pozzanghere verdi non sono fritte
10 giugno 2013
Il cervello ciocca, i circuiti saltano, gli orari ballano la rumba, il cuore batte il ritmo, il cervelletto scrive, qualcuno spia, la gente mormora, i vestiti animati coprono in sordina o facendo chiasso, vi ci infiliamo come nella cruna di un ago; crocco la ciotola, acquo la bacinella, spengo il gas già spento, schiocco la valigia, bacio il sacco a pelo, dindlo le chiavi, abbasso la saracinesca del pensiero (luci soffuse), mi accompagna l’ascensore, accelero il pedale, parcheggio le ruote, cammino nel riflesso verde dell’ombrello nelle pozzanghere, non sbaglio il binario, mi aspetta il treno giusto, riconosco il cielo, gli sbuffi del bianco stagliati nel celeste vivo, le fantasie di nuvole, mi perdo serena nell’incontro con il mare altrove, le profondità che mi attirano e quelle che mi spaventano, i picchi bianco-scuri che fanno il solletico al cielo e il bacio della sincronia con la stabilità, tento il sonno in questo frastuono buono.
La presbiopia è quella modificazione dello sguardo per cui per non avere una visione sfocata, le cose devi allontanarle da te: ci si arriva dopo un po’.
Faccio lo tsunami-anatroccolo, all’orizzonte grandi onde: lasciate andare spazzeranno via rami secchi del passato.
Quelle cose che non sapendo bene quale delle due fare tanto vale farle entrambe.
Ho freddato la mamma cyborg che con la sua sottile voce metallica cercava complicità abietta ed è rimasta senza voce da trasmettere da quell’altoparlante freddo come Hal.
Come disegnare una linea per terra e dire Fin qua ci sei tu e da qui in poi io e – come vedi – le due aree non si intersecano.
Il cervello ciocca, i circuiti saltano, gli orari ballano la rumba, il cuore batte il ritmo, il cervelletto scrive, qualcuno spia, la gente mormora, i vestiti animati coprono in sordina o facendo chiasso, vi ci infiliamo come nella cruna di un ago; crocco la ciotola, acquo la bacinella, spengo il gas già spento, schiocco la valigia, bacio il sacco a pelo, dindlo le chiavi, abbasso la saracinesca del pensiero (luci soffuse), mi accompagna l’ascensore, accelero il pedale, parcheggio le ruote, cammino nel riflesso verde dell’ombrello nelle pozzanghere, non sbaglio il binario, mi aspetta il treno giusto, riconosco il cielo, gli sbuffi del bianco stagliati nel celeste vivo, le fantasie di nuvole, mi perdo serena nell’incontro con il mare altrove, le profondità che mi attirano e quelle che mi spaventano, i picchi bianco-scuri che fanno il solletico al cielo e il bacio della sincronia con la stabilità, tento il sonno in questo frastuono buono.
La presbiopia è quella modificazione dello sguardo per cui per non avere una visione sfocata, le cose devi allontanarle da te: ci si arriva dopo un po’.
Faccio lo tsunami-anatroccolo, all’orizzonte grandi onde: lasciate andare spazzeranno via rami secchi del passato.
Quelle cose che non sapendo bene quale delle due fare tanto vale farle entrambe.
Ho freddato la mamma cyborg che con la sua sottile voce metallica cercava complicità abietta ed è rimasta senza voce da trasmettere da quell’altoparlante freddo come Hal.
Come disegnare una linea per terra e dire Fin qua ci sei tu e da qui in poi io e – come vedi – le due aree non si intersecano.