Identità ebrea

4 giugno 2021

Come quella costruita andando via
— la schiuma della terra —
Ipertrofia solipsistica
Jung, Freud, protestante contro ebreo
E così deve essere?
Vero, alterato teatro, pietrificata musa, vive
William Shakespeare ha inventato l’uomo moderno
Il Dio di tutti i viventi piange e ride e guarda, non parla, ma gode i rumori e i suoni,
chiede silenzio sulle urla
La visione è integra,
pianta anche alberi di cui non mangerai i frutti
E piantala.

Hai ku?

17 ottobre 2020

Nel cambiamento

mutevoli le stanze,

flemmatici i ruoli,

da conquistare la stima,

pesca e mela l’affetto.

Go-Go Tales

14 ottobre 2020

Faceva la lap dance avvinghiata al palo del suo ruolo di mamma, turgidi i muscoli, turgida e rigida la psiche. Quando era in alto scuoteva la testa, per ogni capello appena fatto una parola santa; sopra tutti, kajal sulle palpebre, giudizi come telegiornali, chicchi di riso generosamente sparsi sulle folle immaginate dei pochi astanti in carne ed ossa: un ruolo, una Virtù.

Però prova a rimanere impassato crème caramel fuori dal vergato vasetto di plastica e poi dimmi se riesci a tenerti salda e dura così, senza che il caramello ti sia di peso o se per caso l’aria intorno non ti sia di impiccio per conservare quella forma e quella gestualità forgiate, alla base di quel palo che ti fa da totem.

E non sa come si fa: legge un libercolo con le istruzioni, qualche disegnino e un tot di pagine bianche in coda.

Ma la vita è un libro illustrato della memoria?

No, la vita si disegna.

Quindi cominciò a capire. D’altronde aveva o no imparato a nuotare?

Aveva.

C’era una tigre, splendida.

Con me da anni, vissuti intensamente.

Fiera e bellissima felina, come gatta, ma tanto più grande.

Inavvicinabile, per scelta e per timore. Il mio.

Ruggiva a tratti. Temevo risvolti tragici per età e per follia, temevo gli effetti del cimurro dell’inconsapevolezza funzionale.

Lo sguardo, il pelo, la dimensione. Cosa c’è nel cuore di una tigre magnifica, sola, che cerca di ficcarsi nel trasportino di un gatto non appena ti chiudi alle spalle la porta di casa?

Il fascino incredibile di un dolore che, come l’elefante, nella 500 non ci sta.

Eppure rimane così elegante,

Così bella,

Così.

Non ho (più) l’età

10 novembre 2018


Mi son lasciata sfuggire l’occasione di fare l’unica cosa che avrebbe placato gli animi, spianato le rughe, rarefatto i malumori, purificato l’aria pesante, messo d’accordo tutti: un bambino, una bambina.
Avrebbe impastato i cuori di burro con piccoli movimenti delle manine e pigiato gli acini dei guizzi d’adulta del mio io vergognoso, fragile e incazzuso. Avremmo mosso impacciati primi passi insieme, sperimentato capitomboli a cul per terra conditi da risa schiette e vivide in giornate di sole o umide di pioggia, cantato le favole a squarciagola.
Avremmo visto il mondo mentre ci stava a guardare per sentirci grandi grandi e piccoli piccoli.
Invece adesso devo solo trattenermi perché ci sarebbe ancora un tot di tempo sia per la menopausa che per fare cazzate.


《Figuramoci più su》, dice la bambina.
《Poi magari invece in alto alto là, laddove si arriva da fermi immobili, ci sarà un’atmosfera ovattata》, elucubra l’adulta dal viso pallido, 《però aspetterei ancora un bel po’ prima di andare a verificare: devo ancora festeggiare questo compleanno e vorrei rimanesse spazio ancora per tanti altri.》

Come da Contratto

28 Maggio 2018


Forse sono stata concepita con metodo champenoise, 24 grammi di zucchero, il peso dell’anima più 3 grammi. D’altronde è il metodo classico. Sotto terra, in una cattedrale di mattoni, muffe e superfici friabili, ho fatto il lievito, un modo come un altro per ricavare energia in assenza di ossigeno scorreggiando CO2 sotto forma di bolle. Messa a testa in giù in continua rotazione sui pupitres, esausta, son diventata feccia in un liquido chiaro. Plin plin? Caso volle, il vetro di contenimento era difettato e quindi ho fatto il botto esplodendo i 6 bar di pressione, lasciando però intatta la geometria della catasta di bottiglie tra le cataste di bottiglie. Geometrie regolari di geometrie regolari come il fascino del sistema periodico, diventano affiches di una raccolta dei Pink Floyd. Il buco è dove c’è stata l’esplosione, i cocci vivono di vita propria, dal foro si accede al mondo di Alice dal quale il cappellaio pazzo schiamazza richiami ioneschi, è il punto di intersezione tra lo spazio fisico e quello emotivo esattamente come la vagina. L’esplorazione è il nuovo mondo, quello dove le impronte non le calpesti ma le crei.


Il fragile involucro della litosfera, le placche in equilibrio isostatico nell’astenosfera, solido dal comportamento plastico per effetto di pressioni, elevate temperature e sforzi.
Tra attività sismica, orogenesi, formazione di fosse oceaniche
ed archi vulcanici, il modello della tettonica a placche rende intellegibili le ere geologiche del sé.
Gratto la crosta, terrestre.


Ieri ho scoperto il bottone dell’anima. Sapevo già che era lì, ma non era ancora distillato il “verbo” che desse un nome a quel luogo fisico di concreta materia cellulare. Lì, in quel punto, si apre uno spazio enorme, al tocco si espande come un mare tiepido le cui onde si sviluppano con moti liberi dalla gravità. Affrontano il maschile e il femminile con una inconsueta equanimità: dei due fanno uno, acque che si mischiano pur rimanendo separate. Era l’amore, quello che ci abita e che releghiamo in crinoline di vetro opaco, quello che hai paura di toccare, quello che ci si sta lontani per paura di affondare.
Dal collo, poi, è germogliata la testa.