Identità ebrea

4 giugno 2021

Come quella costruita andando via
— la schiuma della terra —
Ipertrofia solipsistica
Jung, Freud, protestante contro ebreo
E così deve essere?
Vero, alterato teatro, pietrificata musa, vive
William Shakespeare ha inventato l’uomo moderno
Il Dio di tutti i viventi piange e ride e guarda, non parla, ma gode i rumori e i suoni,
chiede silenzio sulle urla
La visione è integra,
pianta anche alberi di cui non mangerai i frutti
E piantala.

Hai ku?

17 ottobre 2020

Nel cambiamento

mutevoli le stanze,

flemmatici i ruoli,

da conquistare la stima,

pesca e mela l’affetto.

Come da Contratto

28 Maggio 2018


Forse sono stata concepita con metodo champenoise, 24 grammi di zucchero, il peso dell’anima più 3 grammi. D’altronde è il metodo classico. Sotto terra, in una cattedrale di mattoni, muffe e superfici friabili, ho fatto il lievito, un modo come un altro per ricavare energia in assenza di ossigeno scorreggiando CO2 sotto forma di bolle. Messa a testa in giù in continua rotazione sui pupitres, esausta, son diventata feccia in un liquido chiaro. Plin plin? Caso volle, il vetro di contenimento era difettato e quindi ho fatto il botto esplodendo i 6 bar di pressione, lasciando però intatta la geometria della catasta di bottiglie tra le cataste di bottiglie. Geometrie regolari di geometrie regolari come il fascino del sistema periodico, diventano affiches di una raccolta dei Pink Floyd. Il buco è dove c’è stata l’esplosione, i cocci vivono di vita propria, dal foro si accede al mondo di Alice dal quale il cappellaio pazzo schiamazza richiami ioneschi, è il punto di intersezione tra lo spazio fisico e quello emotivo esattamente come la vagina. L’esplorazione è il nuovo mondo, quello dove le impronte non le calpesti ma le crei.


“Sono meglio gli uomini degli animali”, diceva. Il cane pelo corto color prateria di birra fulva, gli occhi languidi, palpebre mobili, pupille negli angoli di quelle due pozzette interrogative, ma miti.
“Da quando ho avuto una grossa delusione d’amore, basta, parlo solo con lei. Abbiamo litigato per dieci euro! Si può litigare per dieci euro?”
Il guinzaglio fa le bizze con sé stesso, si attorciglia, il movimento di una coda, quattro zampe, ancora quello sguardo da bordo campo.
“La gente mi prende per pazzo, ma io con lei ci parlo, ci faccio i discorsi”.
Qualche sedile più in là una voce del popolo in pantaloni comodi e spossatezza da fine giornata gli risponde. Come un flauto stonato si sposta, cambia tono, si avvicina alla signora-amante-dei-cani trasformatasi da uditorio in interlocutrice. Il cane è il piede di porco con il quale aprire gli squarci in cui ficcare dialoghi frammentati di vita spiaccicata. Come riflettersi in uno specchio in frantumi e vedersi riflessi interi.

Lacche, lacca e lacchè

26 settembre 2017

In un contesto insospettabile, ricca nicchia di una lobby, ho visto il pulcino Pio coi capelli da Boy George, in giacca, scarpe da ginnastica, manine d’unghie mangiate e sguardo esoftalmato.
Come da bambina continuo a tirare su i sassi per vedere cosa c’è sotto. Ma ora, alle soglie degli anni che sto per compiere, i sassi crescono sull’albero delle metafore e non sono più le vipere quelle che, ardimentosa e incosciente, cerco.

Qualcosa

24 settembre 2017

Il dischetto di cotone segue la linea della mascella trattenendo a sé il colore in polvere, traccia una linea cromatica tra il prima e il dopo; la stessa linea tracciata dal racconto.

Perdindirindina

9 settembre 2017

Ho visto, nell’ordine:
1) un Vollenweider alto alto e smilzo;
2) un Luca Zingaretti basso, tronfio e dallo sguardo sfuggente;
3) Jerry Lewis resuscitato in scarpe da ginnastica;
4) il sosia miope, professionista pulp real, di Varoufakīs con quella roba fastidosa e luccicante attorno al dito che si proietta nel mio cervello come ridondante simbolo di esclusione dai giochi, a prescindere.
Ho chiesto un parere a Velvet e, giustamente, ha detto: “Miaao!”


Considerato quanto si evince dalla tua andatura, forse è meglio se rimani completamente fermo.


L’uomo di feltro è vivo, cammina e parla. Ogni tanto dice qualche cazzata. Unghie come maltagliati già troppo lunghe, collo insaccato nella sciarpa tra camicia a righe e giacca di panno, normolineo dall’andatura “scacco al tacco” e profusione entusiastica del collo in mise comportamentale da volatile dal becco lungo. Illustra l’arte agli avventori, negli occhi un balenare di idee da novella rivoluzione industriale con sogni di futura grandezza riposti tra la realizzazione di treni alta velocità e la chimera dell’auto elettrica.
Mi fregia di onorealmeritobravaapapà per essere approdata lì dopo appena un anno che sono qui. Ci regaliamo sorrisi di poco conto come spiccioli che torneranno utili e prima che ribolla per l’ansia da motivatore delle folle di agganciare i nuovi arrivati con manciate di “siccome che” in sordina, ci salutiamo, come se con un clic avessi abbassato la cornetta.

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Ci sono cose che mi sono piaciute ed altre meno. Ci ho pensato. La De Generation of Painting mi è sembrata una specie di Action painting con poca action e niente painting, un’osservazione statica del presente, il congelamento di un flusso di idee.
Mentre il rientro a casa è stata un’installazione underground interiore un po’ strana.

F come ciabatta

22 settembre 2014


Hai labbra sottili e occhiali grandi, capelli lisci troppo attaccati gli uni agli altri e pensi a chissà che; parli con quella voce da fumetto in birignao mite e chissà se hai nascosta la voce da leone o iena, se sei cresciuto o vivi il mondo sempre con quello stupore
contraffatto.
Sei in comunità da anni, dietro il velo dell’altra società, quella dei documentari che solo su Rai Tre vintage. Un amico iraniano a cui chiedi della vita lì, domande che certi giornalisti non farebbero mai. Fissi il vuoto e sembri un pupazzo, poi sorridi. Dov’è il ventriloquo che ti anima e ti poggia dove trova spazio?
Il siparietto si chiude, il difensore volatilizzatosi nell’idea monogama del pranzo.
Rimango sola, mi fai domande alle quali non ho risposte, quelle che ho non posso dartele io. Per fortuna non sei così cattivo da darmi un colpo in testa e mollarmi lì in attesa che un panno lencio da pavimenti incappi nel mio corpo inerme. Mi chiedi se ora devi tornare a casa. Casa.
“Sì, decisamente: dritto dritto alla svelta senza deviazioni da stare alla larga dai pasticci”, rispondo tutto d’un fiato, il tintinnio delle chiavi dell’aula è il dialogo tra me e il mio passo.
“Va bene (piccolo-spazio-pubblicità) Grazie.”
Due serrature a chiudere il mondo fuori, si infilerà come sempre con la sua umana e disumana potenza da ogni fessura visibile e invisibile.


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