Louise Bourgeois


E «il colore è più forte della parola.»

Adieu Louise 2010 Louise Borgeois feat. yapwilli from Flickr

Ho scoperto Louise Bourgeois per caso da pochissimo: la mia sconfinata ignoranza spesso mi regala emozioni forti, perché tutto quello che non sai lo scopri, scoperte immaginifiche che trillano le sensazioni e illuminano lo sguardo.
Ho trovato la sua foto in fucsia per caso, da ancora più pochissimo.
E per caso assomiglia molto a una persona che ho amato tanto, per scelta.

«Un artista mette in scena i suoi problemi. Non c’è comunque cura, perché l’espressione di sé non comporta apprendimento. Lo esclude. Ecco perché si ripete continuamente. A Sisifo piaceva spingere il suo macigno. Era la sua ragione di vita. Era una forma di auto-espressione e non gli ha mai fatto imparare niente. Camus non voleva imparare. Voleva giustificare la sua sofferenza. Io voglio imparare.»

Affresco chiesetta San Nicolò rupestre-Modica


Quando ti fai inghiottire dal portale di una chiesa non sai mai bene cosa ci sarà al di là di tutto quel legno cigolante e pesante: se sogni cupi al cilicio in iconografia buia, triste e minacciosa o luci smerigliate in volte blu cobalto. Eppure, tra tutte, le uniche che riescono a soffiare brezze lievi sul cuore e sul cervello fritto miei sono le chiese bizantine e le loro icone dagli spigoli morbidi in tinte di doratura pastellata. Così, accadde: come per magilla, quando ormai avevamo quasi perso le speranze di trovarla, si è manifestata dopo l’ultimo gradino di una scalinata, accucciata in una nicchia di strada tortuosa, la chiesetta spoglia intitolata a uno dei pochi santi che mi ispira naturale simpatia, affresco antico consumato nei secoli dei secoli amen e Gesù con faccetta da furbo che ti viene proprio voglia di berci una birretta insieme.


Orde di affamati mangiatori del carboidratico sottile disco volante alla barese affollano le pizzerie il sabato sera, perché il sabato la pizza e la domenica il cinema, con brevi incursioni per panzerotti e hot dog in uno dei gabbiotti quattroruotati appostati solitamente negli angoli più squallidi del lungomare, drive in a cielo e mare aperto con cartoni, cartacce, cartupole, lattine e bottiglie di Peroncino in dialogo sconcio ai bordi dei marciapiedi o sui muretti in pietra e, se c’è maestrale, concerto di materiali inerti in rotolamento libero sull’asfalto a buche rappezzate male… no, scusate, ma-lis-si-mo.
Dopo aver evitato le folle inneggianti a pagamento nel teatro del burattinaio Silvio Bì impomatato a festa e aver rinnovato la scoperta di una infausta continuità tra settecento e ventunesimo secolo grazie al monologo di Eleonora de Fonseca alla Vallisa, i tempi erano maturi per l’ardua ricerca di luogo in cui rifocillarsi. Constatata la necessità di una migrazione verso nord, abbiamo raggiunto la meta mezz’ora prima di mezzanotte, fatto finta di credere che gli annunciati venti minuti scarsi di attesa fossero plausibili, sorriso, osservato gli avventori in entrata e in uscita, commentato sogghignando, sogghignato commentando, sorretto le palle nei momenti di défaillance.
Lo scenario descritto dovrebbe rendere Chicchessia (nome proprio di persona qualsiasi mica tanto) compiacente e comprensivo su un punto: che la mia figura di meeeerda è, tutto sommato, un po’ come una nota stonata dovuta a una corda di violino rotta per l’uso improprio ed eccessivo.
– Volete ordinare?
Sono prooonta:
– Per me una Céline.
(Perché mi guarda strano?)
– Non esiste la pizza Céline.
– ? Ma… E’ questa! (dito sul menu in corrispondenza della reietta misconosciuta)
– Colino, una Colino!
Inutile dire che la cameriera mi ha coglionato fino alla fine della serata, però ho capito una cosa: dev’essere per questo che Mr. Cì dice che ci ha perso tanto con la nostra separazione…
Son soddisfazioni.

RoMBO

8 gennaio 2013

Vertical thinking - William Kentridge


Boato silente tra Bologna e Roma, fruscio di vacanze inusuali, calma di bruco tranquillo che mette fuori la testa dal baco.
Immagini in strade, stanze d’hotel, treni, accostamenti di volti amici, bus, metro, metrò, colazioni di variegate scelte fruibili, gallerie d’arte e mostre, orari all’italiana, tortellini e bucatini all’amatriciana; meridionali emigrati in un Meridione meno meridionale ma mica. Il mocaccino ogni volta un po’ diverso che va bene lo stesso, qualunque sia l’infinitesimale differenza. Fori imperiali inaccessibili se non a spese di una deformazione cartoanimatesca del disegno dei propri contorni, un concertone che da lontano è inanimato e biondo, fuochi artificiali un po’ flosci sprizzano tra la gruviera del Colosseo mentre astanti ardimentosi si cimentano in conversazioni auliche sulle fantasmagoriche possibilità della fotocamera dell’iPhone. Cielo sempre terso e vento che spettina strani ciuffi d’erba sul corripista dello stradone Chissàquale romano, e quello è l’Altare della Patria e quell’altro il cupolone, incespico nell’ignoranza che mi caratterizza e nello sfottò dei due compagni di mini-viaggio poggiando lo sguardo a casaccio su tutto quanto l’iride mi offre in cambio, cercando corrispondenze sulla cartina. Stanze ampie della mente certe tracce dall’immediato futuro: Kentridge racconta, i corollari della storia passata si proiettano dispettosi nel presente; incontro ravvicinato dopo anni ventitré e sento appena il sapore come muschio della storia dei miei quindici anni; occhi che un po’ si sfuggono per l’impaccio lieve dei primi minuti e poi si riconoscono senza farsi troppe domande. L’augurio di un buon viaggio arriva inaspettato, ma in realtà no e di tutte le cose non chieste e non approfondite rimane l’impronta del dialogo in quella dimensione parallela e trasversale a cui l’egotismo non ha accesso.

Punti di vista

23 dicembre 2012

Gli irti colli.

Modigliani - Portrait of Jeanne Hebuterne 1918-19

Buone feste, nella forma e nel colore.


Se tutti disegnassimo non esisterebbero più guerre.


(Un po’ Jacovitti, un po’ Paolo Conte; in realtà Furio Scarpelli).

Verniciamento

13 novembre 2011


L’installazione più interessante è l’ingresso. Ché se ti trovi di fronte alla scelta tra l’entrata per i VIP e quella disaggettivata, mentre decidi da quale delle due varcare la soglia per accedere allo show, sei già dentro la diapositiva di questo tempo che, non trovando scampo e vie d’uscita innovative, si ritrova appiattito senza entusiasmo su rivisitazioni vintage e sperimentazioni molli che fanno un po’ tristezza, ma forse annunciano un futuro di riscatto.
Innestato in questo presente.

A qualcuno piace Calvi

14 luglio 2011


Quando sei vicino al palco, succede che senti i bassi rimbalzare nel petto e nella gola come se avessi due cuori, uno artificiale, che vibra come e più di quello naturale. Azzardando analogie poco credibili cominci a pensare che, tutto sommato, che te ne faresti di tanti centimetri in più se a essere bassi si ottengono risultati così? Poi pensi agli acuti, ché quelli sono alti, e ti rimbrotti. Segue l’illuminazione karmica dell’ Ecco perché la danza classica non fa per me, consapevole che chi ci capisce è bravo e che se non ci capisci non fa niente.
Poi ti accorgi che c’è un astruso brusio che mancano solo arachidi e pizzette, come se sul palco ci fosse una radio accesa vicino al microfono e non qualcuno a suonare.
Aspettano la Calvi, mi dici.
Non mi sembra un motivo sufficiente, mi dico.
Però vabbè, mi dico pure, pane al pane vino al vino e corro con lo sguardo al mio vicino.
Quello che chissà dove e in quale vita ho conosciuto: stesso tic del polpaccio basculante, stesso naso con la punta buona per far fare lo scivolo sicuro ai bambini, e la sigaretta come se avesse ancora qualche broncio di sottomissione materna da smaltire. Pace.
Poi Humpty Dumpty che non «sedeva sul muro», ma era poggiato alla transenna a scattare fotografie, lunghi minuti per capire perché e se avesse una spalla da culturista e l’altra no sopra i bermuda lunghi e le gambe corte (che, dice le bugie?) e chissà, Magari è solo il gioco ottico della tracolla nera che lo attraversa diagonalmente. Le foto, ben riuscite.
L’inquietante dai cinquanta in su, pantalone classico, calzino blu, con lo sguardo mobile e sfuggente in giro a cercare se stesso ovunque nel posto sbagliato, se ti beccava con le pupille su di lui era la fine, incontrarlo in un vicolo rischioso, imbarazzante, noioso, forse insidioso.
La chitarra cambia, la tromba non c’è più, la batteria spostata al centro del palco.
Sono tutti lì per Anna Calvi, Anna Calvi arriva. A tirar giù i calzoni ci sarebbe stato da divertirsi a contare le erezioni e le passere bagnate. A occhio e croce un tot. Figa è figa. Sensuale pure. Un po’ Jessica Rabbit anche, le scarpe, soprattutto, uguali uguali. Il coniglietto più innamorato di tutti, accanto a me a destra, era in visibilio quasi platonico; l’altro quello a sinistra, altro che Platone. La ragazzina preoccupata dell’effetto della visione sul fidanzatino, si mangiucchiava le unghie con dovizia tutta concentrata su uno di quei dilemmi consumistico-tantrici del tipo Come faccio a diventare come quella lì? Ha risolto con una paglia e i segnali di fumo. D’altronde Roger Rabbit, l’ho visto, era lui, il suo fidanzato: è con lei che tradisce Jessica. Vittoria!
Il prato umido fa profumo anche quando è calpestato. E l’acqua dei toret è la scoperta di una nuova passione.
Ad ogni modo, durante il concerto ho pensato anche a lei.
E io? La solita scassaminchia.

Bollani balla il tango suonato con il piano, l’uno conduce l’altro e l’altro l’uno in un’alternanza viva di note e martelletti che si alzano e si abbassano. Tasti neri, tasti bianchi, gioco. Vedo le note disegnate che si librano nell’aria, tracciando anche percorsi inusuali perché a tratti lui sembra il pianista folle del Muppet Show.

E, a conti fatti.
Alla prossima signorina buonasera del botteghino del teatro che di fronte alle mie perplessità in merito alla scelta dei posti, mi sollecita per sindrome di stufìa precox, con un “Tanto è da ascoltare, non è mica uno spettacolo teatrale!” non starò neanche a spiegare che non sto acquistando i biglietti per una trasmissione radiofonica.
Le sputo direttamente in un occhio e le canto una canzone tonta.

Un ringraziamento particolare a Pierrde.

Fluendo

24 marzo 2011

Con meno grigio.